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Riparare diventa una sorta di imperativo morale regolativo dei rapporti nei micro e nei macrosistemi. Come esseri umani, prima ancora che come cittadini o operatori nei più diversi settori del vivere collettivo, ristabilire la giustizia e coltivarla, deve riguardarci, in quanto essa costituisce un diritto inalienabile dentro, ma soprattutto fuori dagli schemi processuali. Nella riparazione si prospetta la compresenza di due protagonisti, il danneggiatore e il danneggiato, l'autore del reato e la vittima di quel reato, legati drammaticamente ai tempi e ai luoghi dell'evento/danno, cementati nei rispettivi ruoli e nelle specifiche posizioni. Sentirsi ristorati è l'esito finale di questa esperienza che riorienta al diritto alla bellezza, quale diritto inalienabile, accanto al diritto alla tregua e, in quanto tale, da coltivare a partire dall'infanzia. La zona che si esplora è caratterizzata da una profonda tensione etica, perché riconosce il valore di una giustizia che ripara, che risana, che ristora, che rigenera, che ripristina equilibri relazionali e comunitari attuali e futuri.